X Angelo Amato, SDB  

 

1.  L'attualità e la centralità del tema

 

«Vivere l'amore e in questo modo far entrare la luce di Dio nel mondo, ecco ciò a cui vorrei invitare con la presente Enciclica».[1] Papa Benedetto XVI indirizza a tutti i fedeli cattolici una elevata meditazione sull'amore, firmata il 25 dicembre 2005, festa che celebra il natale di Gesù Cristo, amore di Dio incarnato.

L'inizio è di ispirazione giovannea: «Dio è amore; chi sta nell'amore dimora in Dio e Dio dimora in lui» (1Gv 4,16).[2] È questo il centro sempre attuale della fede cristiana: «In un mondo - ammonisce il Papa - in cui al nome di Dio viene a volte collegata la vendetta o perfino il dovere dell'odio e della violenza, questo è un messaggio di grande attualità e di significato molto concreto».[3]

L'enciclica si suddivide in due parti: la prima, più speculativa, precisa alcuni dati essenziali sull'amore che Dio offre all'uomo e sul legame che quell'Amore ha con la realtà dell'amore umano; la seconda parte, più concreta, illustra l'esercizio ecclesiale del comandamento dell'amore verso il prossimo.

Nonostante le anticipazioni della stampa sulla presunta brevità del documento, la trattazione è in realtà amplissima. Ad esempio, dal confronto di questa enciclica con l'ultima di Giovanni Paolo II - Ecclesia de Eucharistia - risulta che entrambe hanno quasi la stessa lunghezza: 75 pagine la prima, 77 la seconda, anche se quest'ultima è articolata in sei capitoli con 62 numeri, mentre la prima si suddivide solo in due parti con 42 numeri.

L'enciclica di Benedetto XVI non è un polittico, che presenta una molteplicità di dimensioni e di variazioni del tema. È piuttosto un grandioso quadro rinascimentale a due piani: sul primo piano, in alto, l'amore di Dio, e sul secondo, in basso, il riflesso di questo amore nel cuore dell'uomo e nell'azione della Chiesa verso l'umanità intera. Si tratta di una concentrazione tematica vincente, per poter giungere con immediatezza alla mente e al cuore dell'uomo contemporaneo e risvegliare in lui la gioia dell'amore autentico.

 

2. Armonia tra eros e agape

 

La prima parte è un esame approfondito del significato dell'amore per sapere chi è Dio e chi siamo noi. Dal momento che il termine "amore" è diventato una delle parole più usate e anche abusate, il Papa precisa che al di là dei molteplici usi che se ne fa l'amore tra uomo e donna, nel quale corpo e anima concorrono inscindibilmente, emerge come archetipo dell'amore per eccellenza. A questo amore l'antica Grecia dava il nome di eros, parola mai usata nel Nuovo Testamento e usata solo due volte nell'Antico Testamento greco. Il Nuovo Testamento dà piuttosto la preferenza al termine agape, che costituisce la novità del Cristianesimo. Ma proprio questo fatto è stato considerato in modo negativo, tanto che per Friedrich Nietzsche l'agape avrebbe avvelenato l'eros, rendendo amara la cosa più bella e gioiosa della vita.

In realtà - spiega il Papa - l'eros pagano era la sopraffazione della ragione da parte di una "pazzia divina", che strappava l'uomo alla limitatezza della sua esistenza. Ciò si traduceva nei culti della fertilità e della prostituzione sacra. L'Antico Testamento ha considerato tutto ciò come tentazione alla fede dell'unico Dio e come perversione della religiosità. La falsa divinizzazione dell'eros lo priva della sua dignità e della sua autentica umanità. L'eros ha bisogno di disciplina per offrire non tanto il piacere di un istante, quanto piuttosto un certo pregustamento di quella felicità a cui l'uomo aspira con tutto il suo essere. La purificazione dell'eros non è quindi il suo avvelenamento ma la sua guarigione in vista della sua vera grandezza.

Nell'essere umano, composto di anima e corpo, la sfida dell'eros può dirsi superata quando si dà armonia tra questi due principi, dal momento che né solo il corpo né solo l'anima amano, ma è la persona nella sua unità che ama. Nell'unione armoniosa tra corpo e anima l'eros matura fino alla sua vera grandezza.

L'eros deve superare il suo carattere egoistico e diventare cura dell'altro, ricerca del bene dell'amato fino al sacrificio. Di questo amore fa parte l'esclusività - "solo quest'unica persona" - e la perennità, nel senso del "per sempre" fino all'eternità. Per questo l'amore è estasi, non tanto come momento di ebbrezza, ma come cammino ed esodo permanente dall'io chiuso in se stesso verso il dono di sé e verso il ritrovamento di sé e la scoperta di Dio.

Il Papa, insomma, non pone in contrasto l'eros come amore mondano o amor concupiscentiae e l'agape come espressione dell'amore plasmato dalla fede o amor benevolentiae. Eros e agape - amore ascendente e amore discendente - non si lasciano mai separare completamente l'uno dall'altro. Isolati portano alla disumanizzazione dell'amore, alla sua caricatura. Anche l'agape, l'amore oblativo, non può sempre dare se non riceve. Chi vuole donare deve anche ricevere, attingendo alla sorgente originaria dell'amore di Dio in Cristo.

 

3. Le novità del concetto biblico dell'amore

 

Sono tre le novità al riguardo. Anzitutto la rivelazione biblica sull'amore porta a una nuova immagine di Dio. Nella Bibbia Dio è il vero Dio, è il creatore di tutta la realtà e Dio ama la sua creatura e quindi ama l'uomo. Anzi il suo amore è "elettivo": «tra tutti i popoli Egli sceglie Israele e lo ama - con lo scopo però di guarire, proprio in tal modo, l'intera umanità. Egli ama, e questo suo amore può essere qualificato senz'altro come eros, che tuttavia è anche e totalmente agape».[4]

I profeti, soprattutto Osea ed Ezechiele, hanno descritto questa passione di Dio per il suo popolo eletto con le metafore del fidanzamento e del matrimonio e l'idolatria e l'infedeltà con le immagini dell'adulterio e della prostituzione. Ma questo eros di Dio verso l'uomo è anche agape perché è dono gratuito, è amore che perdona. Dio creatore è un amante che ama con tutta la passione di un vero amore. Per questo il Cantico dei Cantici, che è una raccolta di canti amorosi, è stato accolto nel canone della Sacra Scrittura ed è stato spesso interpretato - da Origene a Tommaso d'Aquino a Giovanni Paolo II - come espressione dell'amore di Dio verso l'uomo e dell'amore dell'uomo verso Dio, diventando anche sorgente di conoscenza ed esperienza mistica.

Da ciò deriva la seconda novità, che riguarda l'immagine dell'uomo. Nel racconto biblico della creazione della donna (Gn 2,23) c'è l'idea che l'uomo sia in qualche modo incompleto se non abbandona i suoi genitori e non si unisce a sua moglie (Gn 2,24). L'eros è radicato nella natura stessa dell'uomo e il matrimonio è un legame caratterizzato da unicità e definitività.

In terzo luogo, la novità assoluta della rivelazione cristiana sull'amore non sta in concetti nuovi, ma nella persona stessa di Gesù Cristo, il cui sacrificio per amore dà ai concetti un insuperabile realismo: «Lo sguardo rivolto al fianco squarciato di Cristo, di cui parla Giovanni (cf. 19,37), comprende ciò che è stato il punto di partenza di questa Lettera enciclica: "Dio è amore" (1Gv 4,8). È lì che questa verità può essere contemplata. E partendo da lì deve ora definirsi che cosa sia l'amore. A partire da questo sguardo il cristiano trova la strada del suo vivere e del suo amare».[5]

A questo atto di offerta Gesù ha dato una presenza duratura mediante l'istituzione dell'Eucaristia, nella quale il Logos diventa cibo e nutrimento dell'uomo e ci coinvolge nella sua comunione. Questa "mistica del Sacramento", che è comunione con Gesù, ha anche un carattere sociale di comunione con quanti partecipano al dono eucaristico. La comunione con Gesù proietta il fedele alla comunione col prossimo nell'unico corpo che è la Chiesa. L'Eucaristia è allora vera agape che apre all'amore del prossimo, soprattutto di quello bisognoso.  A un amore quindi universale e concreto. Il giudizio finale avrà come criterio proprio l'amore fattivo verso gli affamati, gli assetati, gli ammalati, i carcerati... (Mt 25,40).

 

4. La lezione eucaristica di Benedetto XVI

 

Forse merita un piccolo approfondimento quanto il Santo Padre Benedetto XVI dice a proposito dell'Eucaristia, il sacramento che «ci attira nell'atto oblativo di Gesù. Noi non riceviamo in modo statico il Logos incarnato, ma veniamo coinvolti nella dinamica della sua donazione».[6]

L'Eucaristia, cioè, ci insegna la mistica dell'amore proteso non solo verso Dio ma dinamicamente aperto al prossimo. Partecipando in molti all'unico pane si diventa un solo corpo (cf. 1Cor 10,17):

«L'unione con Cristo - dice il Papa - è allo stesso tempo unione con tutti gli altri ai quali Egli si dona. Io non posso avere Cristo solo per me; posso appartenergli soltanto in unione con tutti quelli che sono diventati o diventeranno suoi».[7]

Nell'Eucaristia «il Dio incarnato ci attrae tutti a sé. Da ciò si comprende come agape sia ora diventata anche un nome dell'Eucaristia: in essa l'agape di Dio viene a noi corporalmente per continuare il suo operare in noi e attraverso di noi. Solo a partire da questo fondamento cristologico-sacramentale si può capire correttamente l'insegnamento di Gesù sull'amore [...]. Nella comunione eucaristica è contenuto l'essere amati e l'amare a propria volta gli altri. Un'Eucaristia che non si traduca in amore concretamente praticato è in se stessa frammentata. D'altra parte [...] il "comandamento" dell'amore diventa possibile solo perché non è soltanto esigenza: l'amore può essere "comandato" perché prima è donato».[8]

 

5. L'Eucaristia presenza del «Logos incarnato»

 

Come Betlemme fu il primo tabernacolo per l'incarnazione del Figlio di Dio, così la Chiesa oggi continua a essere la «casa del pane», il tabernacolo del pane eucaristico.

Come Gesù fu presente nella mangiatoia a Betlemme, così egli è ora presente in tutti i tabernacoli del mondo.

A proposito dell'incarnazione, San Paolo esclamava stupito: «Dobbiamo confessare che grande è il mistero della pietà: Egli si manifestò nella carne» (1Tm 3,16). Ma ancora più grande è la manifestazione di Gesù nell'Eucaristia. Incarnazione ed Eucaristia costituiscono un unico grande «pietatis et fidei mysterium».

L'Eucaristia può essere considerata come «l'estensione e il compimento della incarnazione; Cristo, figlio di Dio e vero uomo, vi continua la sua reale presenza in mezzo a noi e vi estende l'opera di mediazione che egli, unico mediatore tra Dio e gli uomini, ha compiuto "nei giorni della sua carne"».[9]

Alla luce del mistero dell'Incarnazione, l'Eucaristia costituisce l'ultimo grado della kénosi del Verbo.

Ora, pur essendo glorioso in cielo, Gesù resta nella storia con noi, nascosto nell'Eucaristia sotto le apparenze del pane e del vino. E così continua la sua opera di redenzione e di salvezza dell'umanità. Sulla croce si nascondeva solo la divinità, qui nell'Eucaristia viene celata anche la sua umanità.

San Tommaso d'Aquindo così pregava nel celebre inno Adoro te devote:

«Ti adoro devotamente, o nascosta divinità,

che sotto questi segni veramente ti celi [...].

La vista, il tatto, il gusto in te si ingannano,

ma solo con l'udito si crede con fermezza [...].

Nella croce solo la divinità si nascondeva,

ma qui insieme si nasconde anche l'umanità:

tuttavia, credendo e confessando l'una e l'altra,

chiedo ciò che chiese il ladrone pentito.

Non vedo, come Tommaso, le piaghe, tuttavia ti confesso come mio Dio:

fa' che io creda sempre più in te, in te speri, te ami».[10]

 

6. La Chiesa come comunità di amore

 

La seconda parte dell'enciclica è consacrata all'esercizio della carità da parte della Chiesa. L'amore cristiano non è solo un atto del singolo fedele, ma deve potersi esprimere anche come un atto ecclesiale:

«Anche la Chiesa in quanto comunità deve praticare l'amore. Conseguenza di ciò è che l'amore ha bisogno anche di organizzazione quale presupposto per un servizio comunitario ordinato».[11]

All'inizio i discepoli erano assidui nell'insegnamento degli Apostoli, nella comunione, nella frazione del pane e nella preghiera (At 2,42). La comunione di cui si parla è la messa in comune dei beni, per cui scompariva o veniva di molto attutita la differenza tra ricchi e poveri. I sette diaconi furono scelti proprio per assolvere al compito caritativo della Chiesa delle origini (cf. At 6,5-6). Nella Chiesa il servizio della carità verso le vedove e gli orfani, verso i carcerati, i malati e i bisognosi di ogni genere appartiene alla sua essenza tanto quanto il servizio dei Sacramenti e dell'annuncio evangelico.[12]

Il Santo Padre riporta esempi concreti di questa pratica della caritas citando, ad esempio, la cosiddetta diaconia che prende forma in Egitto a partire dal IV secolo e che nei singoli monasteri era l'istituzione responsabile per il complesso delle attività assistenziali e per il servizio della carità. Queste diaconie sono testimoniate anche a Napoli, a Roma e altrove. Anzi a Roma la tradizione ha trasmesso il martirio del diacono Lorenzo (+258), che invitato dalle autorità pagane a consegnare i beni della comunità presentò i poveri come il vero tesoro della Chiesa.

In questo contesto si inserisce anche l'armonia che il Papa pone tra giustizia e carità, che costituisce anche la finalità della dottrina sociale della Chiesa, a partire dalla Rerum novarum di Leone XIII (1891) fino alla Centesimus annus di Giovanni Paolo II (1991) e al recente Compendio della dottrina sociale della Chiesa (2004).

Di per sé spetta allo Stato assicurare la giustizia nella libertà. Ma resta il problema del discernimento di cosa sia giusto qui e ora. A questo punto interviene la fede non per imporre, ma per illuminare e purificare la ragion pratica, in modo che questa possa vedere e praticare la giustizia. La dottrina sociale della Chiesa è un aiuto alla formazione della coscienza nella politica per il conseguimento della giustizia.

Anche nella società più giusta e opulenta la caritas sarà sempre necessaria, perché anche in essa ci sarà sofferenza, indigenza e solitudine a implorare consolazione, aiuto e condivisione. Per questo scopo la Chiesa ha istituzioni e persone che guidano e attuano la sua azione caritativa ai suoi vari livelli.

 

7. I Santi della carità

 

La conclusione dell'Enciclica riporta il famoso gesto di Martino di Tours, giovanissima guardia imperiale, che in un inverno rigidissimo alle porte di Amiens dona la parte più calda della sua clamide bianca a un povero, che giaceva intirizzito dal freddo tra l'indifferenza dei passanti: «Gesù stesso, nella notte, gli appare in sogno rivestito di quel mantello, a confermare la validità perenne della parola evangelica: "Ero nudo e mi avete vestito... Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me" (Mt 25,36.40)».[13]

Tutta la storia della Chiesa mostra questo servizio della carità esercitato in modo sempre più creativo nelle innumerevoli iniziative di promozione umana e di formazione cristiana. Gli ordini e le congregazioni religiose maschili e femminili hanno costituito nella storia una specie di rete protettiva di accoglienza e di assistenza per l'umanità bisognosa. Il mondo senza questa protezione si sarebbe trasformato in una giungla invivibile. Il Papa cita espressamente alcune di queste figure somme della carità cristiana: Francesco d'Assisi, Ignazio di Loyola, Giovanni di Dio, Camillo de Lellis, Vincenzo de' Paoli, Luisa di Marillac, Giuseppe B. Cottolengo, Giovanni Bosco, Luigi Orione, Teresa di Calcutta: «rimangono modelli insigni di carità sociale per tutti gli uomini di buona volontà. I santi sono i veri portatori di luce all'interno della storia, perché sono uomini e donne di fede, di speranza e di amore».[14] Tra i santi eccelle Maria, la donna che ama, serve, accoglie i discepoli di Gesù come suoi figli e continua dal cielo la sua opera di intercessione materna.

 

8. L'amore, evidenza del Vangelo

 

La prima enciclica di Papa Benedetto XVI richiama il dialogo tra il Cristo risorto e Pietro. A Gesù, che per tre volte gli aveva chiesto se gli voleva bene, Pietro per la terza volta rispose: «Signore, tu sai tutto, tu sai che ti voglio bene». E Gesù di rimando: «Pasci le mie pecorelle» (Gv 21,17).

L'enciclica è un'esplosione di gioia per la sublimità dell'amore di Dio verso l'umanità, sua creatura prediletta, e verso la Chiesa. È un moderno Cantico dei cantici, che, pur erompendo dalla poesia dell'esperienza vissuta dell'amore di Dio, si fa prosa meditata, insegnamento motivato e articolato. 

Il Santo Padre ha voluto mettere il suo ministero petrino sotto il segno dell'amore. È questa la chiave più appropriata per la comprensione della persona, dell'opera e dell'insegnamento di Papa Benedetto, che, in un'epoca dominata dalla banalizzazione dell'amore e sempre più pervasa dalla fredda ombra della separazione, dell'odio, della discordia e delle mille guerre fratricide, ripropone l'annuncio dell'amore come il programma sempre nuovo e sempre attuale del Vangelo di Gesù.

Se le prime encicliche dei papi recenti hanno in un certo senso segnato l'intero loro pontificato - emblematica la Redemptor hominis (1979) di Giovanni Paolo II che preannunciava non solo il Grande Giubileo dell'anno duemila ma anche l'orizzonte "cristocentrico" del suo magistero - si può allora affermare che il ministero del Santo Padre sarà sotto il segno della carità all'interno e all'esterno della Chiesa cattolica, come dimostra il suo sorriso paterno e la sua mano benedicente.

Benedetto XVI, grande teorico della teologia cristiana e, come Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, fermo difensore della retta fede, svela oggi in modo sorprendente che la sorgente del suo fare teologia non è la fredda ragione, ma l'entusiasmo della carità di Cristo: «Caritas Christi urget nos» (2Cor 5,14). Una carità, che pur manifestandosi nella preghiera e nell'adorazione, si fa servizio e cura del prossimo bisognoso. Come nei primi secoli cristiani era la carità che affascinava i non cristiani, così oggi è ancora la carità che stupisce il mondo, diffondendo i suoi benefici effetti nella storia e nella società contemporanea.

L'enciclica è stata paragonata da Rémi Brague a una fontana romana, in cui l'acqua trabocca da una vasca all'altra, a partire da un primo getto posto in alto. Così, nell'enciclica, l'amore di Dio si riversa nel cuore dell'uomo, che, da solo, non può darsi l'amore se non lo riceve dall'alto, dalla sua sorgente divina. Dio non è colui che comanda e opprime, ma colui che ama e dona. È questa l'evidenza cristiana. È questa la vera buona notizia. È questo anche il volto più attraente del cristianesimo: «Noi abbiamo riconosciuto e creduto all'amore che Dio ha per noi. Dio è amore; chi sta nell'amore dimora in Dio e Dio dimora in lui» (1Gv 4,16).

 

9. Le tesi "agapiche" dell'enciclica

 

Si possono ridurre a sei le "tesi agapiche" di Papa Benedetto. La prima compone in armonia eros, come amore mondano, e agape, come espressione dell'amore fondato sulla fede e da essa plasmato. Queste due concezioni vengono spesso contrapposte come amore possessivo e amore oblativo. Solo l'amore oblativo sarebbe tipicamente cristiano: «In realtà eros e agape - afferma il Papa - [...] non si lasciano mai separare completamente l'uno dall'altro. Quanto più ambedue, pur in dimensioni diverse, trovano la giusta unità nell'unica realtà dell'amore, tanto più si realizza la vera natura dell'amore in genere» (n. 7). C'è connessione inscindibile tra l'eros, che brama di ricevere, e l'agape, che trasmette il dono ricevuto.

La seconda tesi evidenzia la "nuova immagine di Dio", che proviene dalla fede biblica. Dio, creatore dell'universo e dell'umanità, «ama l'uomo» (n. 9). Il Dio biblico è un Dio che ama con passione. Il suo rapporto con il popolo eletto è un'alleanza, che si qualifica con le metafore del fidanzamento e del matrimonio, per cui l'infedeltà e l'idolatria significano adulterio e prostituzione. La passione di Dio per l'uomo è un amore perdonante: «L'eros di Dio per l'uomo è insieme totalmente agape. Non soltanto perché viene donato del tutto gratuitamente, senza alcun merito precedente, ma anche perché è amore che perdona» (n. 10). L'amore appassionato di Dio è talmente grande che, nel perdono, sembra che Egli si rivolga contro se stesso, il suo amore contro la sua giustizia. Il perdono rappresenta il sommo della giustizia divina e del suo amore.

La terza tesi della fede biblica sull'amore rivela una "nuova immagine" dell'uomo, che è un essere nato dall'amore, che vive di amore e che pellegrina verso l'amore eterno. Il racconto biblico della creazione dell'uomo mostra come l'uomo resti in qualche modo incompleto se non trova nell'altro la parte integrante per la sua interezza: «Per questo l'uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne» (Gn 2,24).  L'eros, radicato nella natura dell'uomo, rimanda l'uomo al matrimonio, a un legame caratterizzato da unicità e definitività: «All'immagine del Dio monoteistico corrisponde il matrimonio monogamico» (n. 11). Il modo di amare di Dio diventa la misura dell'amore umano. Ciò non trova paralleli al di fuori della Bibbia.

La quarta tesi sottolinea che l'originalità del Nuovo Testamento non sta in nuove idee, ma nella figura stessa di Cristo, che con la sua umanità dà all'amore un realismo insuperabile. È Cristo e Cristo crocifisso l'amore di Dio, che si dona per salvare l'uomo: «Lo sguardo rivolto al fianco squarciato di Cristo, di cui parla Giovanni (cf. 19,37), comprende ciò che è stato il punto di partenza di questa Lettera enciclica: "Dio è amore" (1 Gv 4,8). È lì che questa verità può essere contemplata. E partendo da lì deve ora definirsi che cosa sia l'amore. A partire da questo sguardo il cristiano trova la strada del suo vivere e del suo amare» (n. 12). L'offerta d'amore del Crocifisso trova una sua presenza duratura nell'Eucaristia, che diventa il cibo divino per la sete d'amore dei fedeli e che li attira nell'atto oblativo di Gesù. Per cui il cristiano vive in comunione d'amore con Dio e con i fratelli, che si nutrono del cibo eucaristico.

Da qui scaturisce la quinta tesi agapica: «Amore per Dio e amore per il prossimo sono ora veramente uniti. [...]. Un'Eucaristia che non si traduce in amore concretamente praticato è in se stessa frammentata» (n. 14). È a partire da questo principio, che devono essere comprese le due parabole del ricco epulone, che ha ignorato il povero bisognoso, e del buon Samaritano, che, invece, si è interessato del viandante derubato, bastonato e abbandonato semivivo sulla strada. L'amore del prossimo diventa criterio di validità della vita cristiana e via per incontrare Dio stesso. In tal modo è possibile anche l'amore del prossimo non gradito e forse anche nemico, perché in lui si vede l'amico per il quale Gesù ha effuso il suo sangue: «Solo la mia disponibilità ad andare incontro al prossimo, a mostrargli amore, mi rende sensibile anche di fronte a Dio» (n. 18).

La sesta e ultima tesi include la seconda parte dell'enciclica e può essere così enunciata: la carità della Chiesa verso i bisognosi di ogni genere e di ogni tempo è la manifestazione nella storia dell'amore di Dio Trinità. Sant'Agostino, infatti, affermava: «Se vedi la carità, vedi la Trinità» (De Trinitate, 8,8,12). Fin dall'inizio della sua storia la Chiesa ha esercitato la sua diaconia della carità concretamente vissuta nel servizio ai poveri, ai piccoli, alle vedove, ai malati, ai diseredati, agli ignoranti. È questa una straordinaria epopea che la storiografia mondana non valorizza a sufficienza, ma che costituisce l'anima della civiltà cristiana. La carità cristiana ha sempre preceduto la giustizia umana e ancora oggi, anche nei paesi di più affermata giustizia sociale, c'è bisogno della carità cristiana, come consolazione degli afflitti, conforto agli abbandonati, sostegno ai disperati. In questo contesto il Papa cita giustamente le diaconie caritative di diocesi e parrocchie, ma anche i santi e le sante della carità - ovviamente solo alcuni, i più conosciuti, coloro che hanno lasciato una impronta mondiale -, che con le loro esistenze, le loro opere e le loro congregazioni hanno creato per l'umanità bisognosa una provvidenziale "rete di protezione".

È il mantello condiviso dal giovane catecumeno Martino, che continua a coprire, con la sua benefica carità, le spalle infreddolite dei poveri del mondo intero. Nell'enciclica, il lirismo dell'amore verso Dio nulla sottrae alla concretezza del servizio verso l'uomo, a cui dà linfa ed efficacia. È una lezione che il mondo e la Chiesa accolgono con gioia, perché l'amore è l'evidenza del Vangelo.

 

10. L'amore, evidenza del Vangelo

 

La prima enciclica di Benedetto è programmatica nel senso profondo del termine: egli propone il programma stesso predicato e praticato da Gesù. La cafrità costituisce l'identità del Cristianesimo e l'orizzonte proprio del magistero del Santo Padre, che, anche da Prefetto della CDF, aveva improntato alla carità il suo impegno della difesa e della promozione della fede.

C'è poi una straordinaria eleganza della Provvidenza nel fatto che l'enciclica sia stata pubblicata nel giorno della conversione di San Paolo all'amore di Cristo. San Paolo è il cantore della carità (cf. 1Cor 13), intesa non tanto come estasi mistica, ma come espressione concreta di spessore antropologico.

Presentata poi a conclusione dell'ottavario di preghiere per l'unità dei cristiani, essa ha un carattere intrinsecamente ecumenico. È la carità il motore dell'ecumenismo.  Il movimento ecumenico infatti fa esperienza viva del "dialogo della carità", che significa rispetto, amicizia, stima, accoglienza e collaborazione tra i cristiani. Ed è nell'ambito di questo contesto di carità che si svolge il "dialogo della verità", quel dialogo cioè che intende discernere il molto che unisce e il resto che ancora divide. La duplice modalità del dialogo della carità e della verità deve condurre all'unità nell'unica Chiesa di Cristo.

Per i consacrati l'enciclica costituisce una lezione magistrale per vivere in pienezza la propria maternità e paternità spirituale nella piena esplicazione della carità verso Dio, fonte di comunione e di servizio al prossimo.

A questo dono di luce del Santo Padre deve corrispondere da parte dei fedeli la gioia e il dovere della recezione, dell'assimilazione e dell'attuazione dell'enciclica.

I sacerdoti sono chiamati a interiorizzare la loro paternità spirituale e la loro carità oblativa, attingendo all'Eucaristia la straordinaria forza vitale per testimoniare il Vangelo nella nostra epoca di notte oscura dei valori etici e religiosi cristiani.

Ai sacerdoti spetta anche il dovere della riconoscenza nella preghiera: «Ricordati, Padre, della tua Chiesa diffusa su tutta la terra, rendila perfetta nell'amore ("ut eam in caritate perficias") in unione col nostro Papa Benedetto» (Preghiera Eucaristica II).

 

 

+ S. E. Mons. Angelo Amato

Segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede

 


 
[1] Benedetto XVI, Lett. enc. Deus caritas est, 25 dicembre 2006, n. 39. La pubblicazione è avvenuta il 25 gennaio 2006.

[2] Ib. n. 1.

[3] Ib.

[4] Ib. n. 9.

[5] Ib. n. 13.

[6] Benedetto XVI, Lettera enciclica Deus caritas est, n. 13.

[7] Ib. n. 14.

[8] Ib. n. 14.

[9] G. Lercaro, La missione della Vergine nell'economia eucaristica, in Academia Mariana Internationalis, Alma Socia Christi. Vol. VI - Fasc. I: De B.V. Maria et SS.ma Eucharistia, Officium Libri Catholici, Romae 1952, p. 38.

[10] Tommaso d'Aquino, Opuscoli spirituali, ESD, Bologna 1999, p. 325.

[11] Ib. n. 20.

[12] Ib. n. 22.

[13] Ib. n. 40.

[14] Ib.