Omelia II domenica di Pasqua della Divina Misericordia
è una gioia essere radunati oggi dal Signore nella Domenica della Divina Misericordia per l’ordinazione di cinque Diaconi Permanenti: Giuseppe, Giancarlo, Luigi, Mariano, Silvano. Erano in preparazione da molti anni e ora, dopo un tempo prezioso di ulteriore discernimento e maturazione, li presentiamo al Signore perché siano consacrati. Oggi siamo come quella prima comunità di Gerusalemme, forti dell’annuncio pasquale, “un cuor solo e un’anima sola”. Solo così vive e cresce una comunità cristiana. Solo così noi possiamo essere segno della misericordia di Dio in un mondo segnato dalla violenza, dal terrorismo e da troppe guerre, che fanno crescere l’inimicizia e le divisioni. Chi vive per se tesso, chi non si inserisce in questa comunione sarà una donna e un uomo di divisione, e si priva di un dono che ci rende popolo di Dio, comunità di discepoli di Gesù, figli di Dio e fratelli in Cristo tra di noi.
In quella comunità di Gerusalemme “nessuno tra loro era bisognoso”, si legge negli Atti. Esisteva cioè un’attenzione del tutto particolare a chi era nel bisogno, tanto che gli apostoli decisero di istituire dei Diaconi per il “servizio alle mense”. I primi Diaconi ebbero cioè come compito il servizio ai poveri. Come altre volte ho detto a voi e a tutti, il mio intento è di sottolineare nella vostra ordinazione proprio questa dimensione del servizio ai poveri come prima espressione del vostro ministero, certo senza diminuire il valore del servizio all’altare e alla Parola. Questo aspetto ha già fatto parte della vostra preparazione: Giuseppe e Mariano visitano gli anziani dell’Istituto di Città Bianca, Giancarlo visita i carcerati, Luigi e Silvano visitano i malati in ospedale. Ho potuto costatare come il servizio che voi fate vi abbia aiutato a crescere in fede e umanità, insegnandovi a vedere nelle ferite dei poveri quelle di Gesù stesso durante la sua passione e morte. Gesù, apparendo ai discepoli risorto, mostra loro le ferite della croce e invita Tommaso a mettere il dito nelle sue piaghe. Lo stesso aveva chiesto ai discepoli alla fine del Vangelo di Luca: “Guardate le mie mani e i miei piedi”. Cari fratelli, si può comprendere e vivere la gioia e la forza della Pasqua solo se continuiamo a guardare le ferite del dolore di tanta gente vicino e lontano da noi. Non è naturale fermarsi a guardare le ferite di chi soffre. Istintivamente si fugge davanti al dolore. Eppure quanta gente soffre. Vicino a noi penso agli anziani soli e abbandonati, ai malati, ai carcerati, alle famiglie in difficoltà, ai disoccupati. Lontano da noi penso oggi soprattutto ai cristiani perseguitati, uccisi, sequestrati, e a quanti soffrono per la violenza del terrorismo e della guerra o per la povertà. Quante piaghe di Gesù nella vita di tanti! Quante croci nel mondo! Mi chiedo: abbiamo imparato a guardare queste croci o sappiamo solo guardare noi stessi e lamentarci degli altri?
La misericordia viene da questo sguardo sulle piaghe di Gesù nei sofferenti del mondo. Solo chi acquista questo sguardo può capire il senso e la forza della Pasqua, di colui che ha vinto il male peggiore e invincibile, la morte. Davvero nella Pasqua si manifesta pienamente la misericordia di Dio. Per questo Giovanni Paolo II volle che la Domenica ottava di Pasqua fosse dedicata alla Divina Misericordia. Perciò abbiamo accolto con gioia l’indizione dell’Anno Santo straordinario della Misericordia da parte di Papa Francesco. Si legge nella Bolla letta ieri a San Pietro: “L’architrave che sorregge la vita della Chiesa è la misericordia. Tutto della sua azione pastorale dovrebbe essere avvolto dalla tenerezza con cui si indirizza ai credenti; nulla del suo annuncio e della sua testimonianza verso il mondo può essere privo di misericordia. La credibilità della Chiesa passa attraverso la strada dell’amore misericordioso e compassionevole”.
Gesù apparendo ai discepoli per due volte si presentò loro con parole di pace: “Pace a voi”. Le sue parole sorpresero i discepoli. Nel Vangelo di Luca si dice che lo presero per un fantasma. Certo, non sarebbe stato giusto rimproverare i discepoli per averlo tradito, rinnegato, abbandonato? Ciascuno di noi lo avrebbe fatto! Eppure la sua risposta alla violenza, al tradimento, all’abbandono, è solo pace. C’è un gran bisogno di pace nel mondo, ma anche nella nostra vita personale e in quella delle nostre comunità. La pace è strettamente connessa alla misericordia, a quell’atteggiamento benevolo, paziente, amabile verso gli altri, pieno di tenerezza, capace di perdonare e di offrire con umiltà il proprio amore anche quando si è stati offesi.
Cari amici, auguro a tutti di poter vivere la misericordia e la pace nella vostra vita. E a voi, cari Diaconi, chiedo di comunicare questo senso bello e gioioso di un ministero vissuto al servizio dei poveri con misericordia e donando a tutti quella pace che il Signore oggi concede a noi tutti. La misericordia e la pace rendono possibile l’unità e la comunione di un popolo, altrimenti saremo costretti a vivere dominati dall’individualismo e dall’amore per noi stessi, vera malattia del nostro tempo. Nel servizio ai poveri e all’altare siate sempre testimoni di quel Gesù che vuole fare di noi la sua famiglia, il suo popolo. Siate uomini di preghiera e meditate assiduamente la Parola di Dio, che riceverete nelle mani durante il rito di ordinazione. La vostra famiglia partecipi con gioia al vostro ministero e la comunità dove prestate servizio sia la porzione di Chiesa con cui crescere e con la quale condividere la misericordia e la pace del Cristo. Vi assicuriamo la nostra preghiera e la nostra amicizia. La Vergine Santa, Madre della Misericordia, vi accompagni e vi protegga sempre nella vostra vita. Amen