omelia vescovo morbidaXXV domenica tempo ordinario (anno B) – Sap 2,12.17-20; Gc 3,16-4,3; Mc 9,30-37

Cari amici,

concludiamo questi due giorni di incontro, riflessione, preghiera e amicizia, con la celebrazione dell’Eucaristia, luogo privilegiato della presenza di Gesù in mezzo a noi. La felicità viene proprio da questo: essere insieme attorno all’unica tavola della fratellanza, che il Signore prepara per ognuno di noi, dove c’è sempre posto per tutti, soprattutto per i piccoli e i poveri. Chiediamoci sempre, quando ci riuniamo la domenica attorno a questa tavola: ma i poveri sono con noi? Ci siamo mai chiesti se non dovremmo invitarli a condividere con noi la gioia della mensa della Parola e del pane di vita eterna? Perché non ci sono? Dove sono i “piccoli”, come quel bambino che Gesù abbraccia e pone come segno di chi accoglie lui e Dio Padre che lo ha mandato?

   Cari amici, ieri abbiamo riflettuto insieme su Giona, sulle domande che la sua vicenda pone a  ognuno di noi e alle nostre comunità. Vi ringrazio per averle condivise, per esservi interrogati sul senso di vivere da cristiani nel nostro mondo complesso e pieno di egoismi e rancori, comunicando la misericordia eccessiva di Dio e assumendo il suo sguardo capace di oltrepassare ciò che siamo abituati a vedere ogni giorno. Non dimentichiamo mai la domanda con cui si conclude quel piccolo libro: «Tu guardi con compassione quella pianta di ricino per cui non hai fatto nessuna fatica e che tu non hai fatto spuntare, che in una notte è cresciuta e in una notte è perita!  E io non dovrei guardare con compassione Ninive, quella grande città, nella quale vi sono più di centoventimila persone, che non sanno distinguere fra la mano destra e la sinistra, e una grande quantità di animali?». Qual è il nostro sguardo? Dove guardiamo? Solo a noi stessi? Sai guardare con compassione dentro il grande bisogno degli uomini e delle donne che ti circondano, i vicini e i lontani, i simpatici e gli antipatici, i buoni e i cattivi, i poveri e i ricchi, i miti e i violenti, i tuoi e gli altri? Come annuncerai la gioia del Vangelo se non saprai cogliere il bisogno di amore e di salvezza degli altri, ma ti accontenterai di condividere il lamento e il rancore che oggi sembrano avere il sopravvento?

   La lettera di Giacomo ci ammonisce con grande sapienza, quando si chiede da dove vengono le guerre e le liti che sono in mezzo a noi. E dice: “Non vengono forse dalle vostre passioni che fanno guerra nelle vostre membra?” Dobbiamo interrogaci sui pensieri e sui sentimenti che coltiviamo e che a volte ci portano a farci guerra e a innescare reti di inimicizie, di rivalità, di gelosie e invidie, che non aiutano la fraternità e l’amicizia, non ci fanno crescere come popolo di Dio, comunità di sorelle e fratelli, a cui gli altri dovrebbero guardare per trovare in noi quella pace e quella felicità che tutti cercano. 

   Anche i discepoli di Gesù non furono esenti da questi sentimenti di rivalità. Lo abbiamo ascoltato nel Vangelo. Mentre Gesù parla della sofferenza e della morte che lo attendono, i discepoli non capiscono, non perché fossero stupidi, ma perché parlavano d’altro. Capita anche noi: Gesù parla, noi ascoltiamo la sua parola, ma dentro di noi parliamo d’altro, seguiamo i nostri pensieri, incapaci di fermarci davanti alla Parola di Dio e al dolore di chi soffre. Ma Gesù, con grande pazienza, provoca quei discepoli ed essi tacciono per vergogna. Infatti, per strada stavano discutendo su chi tra loro fosse il più grande. Ogni tanto, cari amici, davanti a Dio bisogna un po’ anche vergognarsi. Lui ci parla con amore e pazienza, ci interroga, mentre noi siamo proprio da un’altra parte presi da noi stessi, dalle nostre futili discussioni e non ascoltiamo ciò che conta. Il Signore non nega la domanda sull’essere grandi, ma chiarisce una volta per tutte, anche a noi a volte pieni di ambizioni mondane, chi è grande davanti a Dio e nella vita: “Se uno vuole essere primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti”.  Qui, care sorelle e cari fratelli, sta il nodo della felicità e della pace: se vuoi essere grande – e dobbiamo essere grandi – sii un servo, una donna e un uomo al servizio del prossimo, a cominciare dai poveri e dai bisognosi. Come ho ripetuto spesso, la carità e la solidarietà espressioni di un servizio umile e contagioso, non sono appannaggio della caritas e dei volontari, bensì parte essenziale della fede e della vita cristiana, sono la nostra grandezza nel mondo e sono la vittoria del bene sul male, della pace e dell’amore sulla violenza e sul rancore.  Cari amici, vi auguro di vivere così. Vi auguro di essere segno di pace e di amore nel popolo che noi siamo,  nella solitudine di tanti e in mezzo alle ferite di chi soffre, le stesse ferite e la stessa sofferenza di cui parlava Gesù con i discepoli. Perciò, come Giona, andiamo nella grande città del mondo e annunciamo a tutti la bellezza della vita cristiana e la gioia di essere con Gesù, misericordiosi, umili e miti per essere grandi nell’amore. Oggi lo possiamo dire e vivere, perché questo nostro stare insieme ci ha resi più forti e misericordiosi. Grazie per essere qui insieme! Amen.

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Assemblea Diocesana 2018 - secondo giorno - Omelia del Vescovo